C’eri Tu.
Avevo due anni che mi fasciavi le braccia malate con bende e cartone. Qualche anno dopo il ricordo mi fa rivedere come in un film, di quando a calzoni arrotolati sopra le caviglie e piedi nudi immersi in una pozza del fiume, sorvegliavi che non mi facessi del male intanto che pagaiavo in quella canoa che con tanta fatica mi gonfiavi d’aria.
Tante furono le volte che si andava al lago a pescare e mi lasciavi sempre la canna da pesca ed ogni volta che il galleggiante scompariva sott’acqua, eri più felice di me quando abboccava un alborella, l’unica tua condizione era che ti lasciassi andare al bar di tanto in tanto per farti un ‘bianchino’… o due.
Impossibile dimenticare di quando mi portasti a Brindisi, uguale che un altr’anno a Taranto e poi ancora ad Alberobello dove per casa avevo un Trullo. Ogni volta molto tempo trascorso con Te e uomini che battevano i polipi sul selciato del porto o donne che riempivano ceste di frutti e peperoncini appena colti, e Te che tornavi la sera dopo una giornata di duro lavoro, che prima di cena mi rassettavi per bene acconciandosi i ricci capelli con le dita delle mani aperte, e poi le ungeva con brillantina e se le passava sulla chioma a sua volta… e si scendeva nella saletta della trattoria la “lampara” per cenare. Capii molto presto di vivere in un paese unico e non diviso da stupidi pregiudizi tra Nord e Sud, e anche se ciò mi costò il ripetere due anni di scuola elementare ma grazie a questo per ricompensa ancor oggi non conosco confini nel mio cuore.
Era sempre di primavera che mi portavi con Te in quel cascinale nel mezzo alle colline in cui Ti gustavi pane e salame annaffiati con abbondanti bicchierate di vino rosso, mentre io preferivo pane e sarde sotto sale con prezzemolo e aglio che accompagnavo con una bottiglietta d’aranciata. Negli anni a venire ho mangiato mille sarde comprate in mille posti diversi, ma non ho più risentito quel gusto unico di quei panini con l’aranciata… c’eri Tu
Mille le volte che mi accompagnasti da nonno Annibale e nonna Maria. Ogni volta il nonno mi dava qualche monetina da 5 o 10lire prese a fatica dal comodino, e la nonna subito dopo puntualmente metteva le mani nelle capienti tasche del suo grembiale nero tempestato di fiorellini colorati e dando di spalle al nonno mi allungava una grossa 100lire di ferro, bisbigliandomi che il nonno non conosceva più il valore del denaro.
Semmai il nonno avesse mai potuto conoscere il valore del denaro, impegnato come fu sempre a raccogliere patate e mungere le mucche del padrone. Una stretta di mano, un bacio sfiorato su una sola guancia al tempo fosse consentito baciare, e dopo andavamo al bar dove io spendevo la mancia in castagnaccio e spuma nera, mentre per Te iniziavano interminabili partite al biliardo tra un bicchiere di vino o un campari col bianco il tutto condito con qualche alzata di voce e una bestemmia che spesso di blasfemo non aveva nulla, era solamente un modo ignorante di voler avere ragione.
Per volere del nonno ero Annibale anch’io da tredici anni e Tu papà Giuseppe mi comprasti la mia prima adorata motocicletta. Non avevo diciotto primavere negli occhi che un auto mi attendeva con il fiocco annodato sul cofano, e mi aiutasti anche a ventun’anni quando me ne andai sbagliando la sposa…
Non avevo trent’anni, e non riuscivo ancora a stabilire un rapporto vero con Te. Ero troppo impegnato a cercare di essere il migliore per compiacerti, invece si rivelò solo un ingannevole stratagemma di ingenua furbizia da strada che mi insegnasti pensando fosse la cosa giusta. La stessa strada che capii poi che puzzava d’asfalto e non di piscio di cavallo.
Hai fatto molti errori nel riempirmi di tutto ciò che allora realmente non serviva ma sono convinto Tu li abbia fatti con il cuore di padre e non bastasse hai sposato ‘una mamma’ che Chiunque sogna d’avere… che io ho avuto e che io ho ancora in Cielo. Per questo nel mentre bevo grappa di marasca brindo a che ti arrivi lassù il mio più sincero ti voglio bene Papà… Non ho saputo dirtelo prima, te lo dico ora. C’eri Tu, ci sei ancora, ti Amo Papà.