È domenica. Alla ricerca di cose, profumi e persone.
Dopo un lungo periodo senza le adorate montagne, nostalgico chiesi alla mia compagna di venire con me sui colli della città per rinverdire il prato del mio cuore che si trova al centro dei miei ricordi.
Inforcate le due ruote che si comincia a salire su di quella dolce china che a tratti tanto dolce non è. La prima sosta e per chiedere un’informazione a quel signore che è in compagnia di un amico. Seduti sui gradini che salgono al portale di una graziosa chiesetta bianca di calce. Quel l’Oracolo di grazia, si presenta con un tappeto di erba che sembra muschio nel presepe di Natale. Maestosi platani e castagni che sembrano voler proteggere allargando sopra d’ogni dove le dita dei loro rami ricoperti di foglie che tendono ad ingiallire, lasciando solamente qualche spiraglio a cunei bagliori di sole che irrorando di luce lo scenario di sotto la coltre, fan si che il bosco paia un Paradiso in terra.
Nel mentre Susy chiedeva a quel l’uomo di rispettabile età che pareva essere in posa per una fotografia. Abbronzato anche sulla “pelata”del capo, in pantaloni color sabbia e bretelle sopra una canottiera bianca, che pareva essere un fratello di Benito Mussolini. Suzza chiedeva informazioni di quel posto dove un tempo si mangiava genuino e nostrano, una trattoria accanto alla tribulina. Io, intanto, m’immergevo in quel paesaggio. Riempivo gli occhi di emozioni che vedevo e ripensavo a altre mille volte, in mille posti diversi, con mille vette e mari che mi hanno fatto da contorno nel mentre respiravo aria di vita, che in quel momento me lo ricordava ciò che vedevo. e odoravo a piene nari.
Me lo ricordava il cuore, me lo ricordava lo spirito, me lo ricordava l’Anima. D’un botto mi riapparvero momenti come quello in cui divisi la polenta con un contadino, un mulo, due cani e dodici mucche. Oppure tra le cento fotografie in testa di posti in cui mi sono ubriacato di cibo, vino e parole in compagnia di tante belle persone con camice di lana a quadretti e grandi cuori. Altre cento sagre in cento paesi sulle montagne. Cento feste popolari in altri cento posti dove il mare ti copre di intimità come a volerti proteggere dalle città. La città, la grande metropoli che crea una cappa di interessi dove nascono nuovi amori, e dove bisogna riconoscerli tra molte sfumature diverse. Mentre invece, il desiderio di amare una persona tra i monti più alti e i mari più agitati, é quasi sempre con lo scopo dell’ unico fine del rispetto che è la base stessa dell’Amore.
Si riparte salendo consumando gomme e curve, finché ecco apparire quel posto di cui Susy si informò. Quella locanda che immaginavo umile e dignitosa ma ora era trasformata in un albergo di lusso con eliporto nel giardino… un piccolo sobbalzo al cuore qualche sospiro con il capo che ciondola a destra e sinistra come fossero smorfie, e fu l’ora di scendere dai colli.
Scendemmo cambiando strada, prendendone una a sud delle colline, per poter rivedere quel l’altro bel ristoro dove si mangiava buono, e poco prima di arrivarci ci dava il benvenuto una bella Madonna di Lourdes arroccata di sotto una magnifica grotta e accanto una bella chiesa bianca, sottile, con il tetto a punta, come le chiese Austriache. Ma anche li niente più locanda, niente più tavoli al l’aperto con tovaglie a quadri bianchi e rossi. Al loro posto vetrate gigantesche che sembravano intimorire a protezione di candidi tavoli rotondi imbanditi da candeggianti tovaglie bianche. Tanto bianche, che per uno strano meccanismo insito nel l’animo di un modesta persona alla quale appartengo, ti fanno controllare quanto c’è nel portafogli se si intende avere la ventura di volerci mangiare sopra. E così ancora ostinatamente alla ricerca di un altro bel posto dei tempi andati, una distilleria artigianale dove si serviva birra direttamente dalle botti per ben bagnare costine cotte al forno e patatine fritte appena servite… ma non si trovò neppur quello. Un capannone sovrastava ciò che era rimasto di una birreria tirata su da un camionista in pensione.
Basta locande che servono ravioli bergamaschi e pane con salame innaffiati da nero sfuso servito in caraffa. Basta persone che si uniscono al tuo stesso lungo tavolone con cui discorrere del più e del meno brindando in compagnia. Ognuno, consumato il pasto, che più dello stomaco riempie lo sguardo, inforca il proprio suv e se ne torna a casa a vedere lo sport o quanto altro in tv e intanto sgranocchia noccioline e patatine per finire di riempire la pancia.
Negli anni ‘60’la gente trovava posti di ristoro anche lungo i tratti del fiume. Improvvisate tettoie in tralci di vite sospese accoglievano chiunque volesse fermarsi a mangiare con l’unica condizione si consumasse almeno un buon litro di vino. Ne ricordo uno in cui l’oste imbandiva le tavole con tovaglie di carta color del bambù, e la moglie con abbondanti seni materni, semi china rassettava poco dopo aver servito qualche sarda con aglio e prezzemolo e formaggio di vacca stagionato… e innanzi a si tante ballottanti prosperosità, gli uomini superavano di gran lunga l’unico dazio imposto dal l’oste per permanere, e i litri di rosso e bianco aumentavano con la loro eccitazione. Fu definitivamente bandito un decennio dopo il pranzo al sacco. Negli anni ‘70’ se il cibo e vino te lo portavi da casa, lo si consumava seduti sul prato in riva del fiume, senza tette davanti agli occhi. Nei vent’anni seguenti ho vissuto quello che ora invano ricerco. Un ventennio di vita, che ognuno prima o poi cercherà di rincorrere per raggiungere e assaporarne il profumo dei ricordi più belli.
È il cambio dei tempi, è un adeguarsi a nuove esperienze, sempre più povere d’amore e più colme del dover vivere e riaffiorano i ricordi che saranno gli stessi delle persone che verranno dopo di noi. Le nuove leve si lagneranno di una pizza sfornata elettricamente nel l’area di una stazione di servizio, e con nostalgia rimpiangeranno le pizze fatte di pasta schiacciate da dita robuste e sapienti di un uomo sudato per il calore di fuoco vivo in un camino alle sue spalle. È il cambio della torcia, si passa il testimone e lo si fa di corsa. Le ormai piccole chiese verranno sostituite da dei pannelli in vetro che indicano il luogo di culto, e invece che da pellegrini e viandanti, saranno lette distrattamente da passanti, e non per intero ma da persone di gomma a cavallo di bici che senza scendere di sella ti fanno il bidet.
La Madonnina sulle strade asfaltate sarà di plastica pura, così che una volta posata per dovere, non se ne curi più nessuno per il piacere, nemmeno perché gli si pulisca il viso da una foglia secca. Sarà un altro cambio dei tempi anche per chi ora sta prendendo il testimone e schizza via veloce. Anche per i campioni di adesso verrà il momento in cui qualcuno più veloce di loro pretenderà il testimone. Sarà la storia di vita di tutte le persone che proveranno emozioni tanto belle nel tempo in cui non si ha tempo di “ascoltarlo”… ma poi ad ormoni sopiti, si desidera rivivere ardentemente. Il giorno del riposo dolcemente malinconico. Dolcemente… è domenica, si va alla ricerca di cose, profumi e persone perdute.